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Argelide

La compagnia del Teatro Povero di Monticchiello porta ‘in piazza’, anche quest’anno, un nuovo spettacolo; un autodramma, secondo la definizione che per primo ne dette Giorgio Strehler: drammaturgia partecipata da un intero paese, tradizione per natura sperimentale giunta alla 45° edizione.
Le assemblee della Compagnia e degli abitanti hanno iniziato da gennaio a discutere i possibili temi, le scalette e infine il copione dello spettacolo. Una lunga fase di gestazione in cui si mescolano dimensioni lontane: storie di vita, memorie, echi del dibattito pubblico e politico… Questa volta, la sintesi dell’intero processo porta gli attori-cittadini di Monticchiello a interrogarsi su rischi, derive e speranze di un mondo in rapidissima e indecifrabile trasformazione, in un anno speciale, in cui si incrociano traguardi collettivi tra loro paradossali. Da una parte una comunità che celebra se stessa e la sua nascita come nazione, dall’altra l’ennesimo record del debito pubblico, che pare minare alle radici le ragioni profonde della coesistenza tra generazioni. Racchiudere in un senso condiviso le trasformazioni in corso è sempre piú difficile, a tutti i livelli: la comunità del borgo non è dissimile da altre molto piú ampie, forse può anzi diventarne metafora, rappresentazione sintetica. Nel piccolo, infatti, risaltano piú chiare le dinamiche dell’istinto sociale e del suo opposto, quello che spinge verso un individualismo sordo e chiuso, vissuto spesso come ripiego dallo smarrimento e dall’impotenza.
Lo spettacolo, dunque, parte da una situazione ‘quotidiana': la storia è quella di una famiglia e di una comunità che si ritrovano attorno al capezzale di una figura carismatica: la vecchia, vecchissima Argelide. Carattere forte e tenace, il suo, sanguigno e tutto popolare. Mentre la sua gente sembra andare in mille pezzi, incapace di reagire alle pressioni di una situazione economica compromessa che spinge ognuno verso il proprio interesse, sul letto di Argelide si gioca ora la partita piú importante: cedere o meno alla tentazione di una deriva ultima e definitiva? Abbandonarsi alla festa allestita dai ‘vermi’, figure grottesche e astute, sempre pronte al banchetto, oppure reagire? E se è opportuno farlo, in nome di chi? Di quale ottimismo farsi arma, quando le regole del gioco sembrano non lasciare scampo? Forse, dunque, la sola salvezza sarà nella forza sovversiva della fantasia: l’unica in grado di cambiare il gioco…